|
|
I rischi derivanti dal fumo di tabacco negli ambienti di lavoro
I rischi derivanti dal fumo di tabacco negli ambienti di lavoro Il 10 gennaio 2005, ai sensi dell’articolo 19 del Decreto Legge n. 266 del 9 novembre 2004, entreranno definitivamente in vigore le disposizioni anti-fumo di cui all’articolo 51, comma 2 della Legge n. 3 del 13 gennaio 2003. I mass media hanno, giustamente, dato molto risalto alla questione ma, evidenziando soprattutto gli obblighi relativi ai pubblici esercizi (bar, ristoranti, discoteche, ecc.), non sono stati altrettanto chiari ed incisivi circa gli obblighi di Aziende ed Enti rispetto ai lavoratori, creando, anzi, una certa confusione. Avere le idee chiare in materia appare indispensabile per avviare correttamente gli opportuni provvedimenti di prevenzione e protezione da parte dei Vertici aziendali, anche in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 4 del D.Lgs. 626/94, così come sostituito dall’articolo 3 del D.Lgs. 242/96, inerente gli obblighi dei Datori di lavoro e dei Dirigenti in merito alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori. Per addentrarsi proficuamente nell’argomento, occorre evidenziare come esista, accanto all’esposizione al rischio fumo da parte di soggetti “attivi” (cioè i fumatori), anche un’esposizione “passiva” da parte di soggetti non fumatori che, condividendo gli stessi ambienti di vita, di lavoro o di svago con fumatori, aspirano involontariamente sia il fumo espirato che quello “collaterale” che fuoriesce direttamente dalla sigaretta nell’ambiente circostante. Siccome quasi il 75% degli italiani non fuma (Fonte: ISTAT), va da sé come l’opinione pubblica esiga l’attuazione di politiche di tutela dai rischi provocati da fumo “passivo”: d’altra parte, è esperienza quotidiana come sia sufficiente un solo fumatore che condivide il proprio spazio con altri per mettere a rischio la salute di più persone ………. Nei luoghi di lavoro, in cui le persone passano gran parte della propria giornata, la situazione appare ulteriormente aggravata dal fatto che la maggior concentrazione di fumatori (sia maschi che femmine) si ha proprio nelle fasce di età corrispondenti a quella della vita lavorativa. Il fumo “attivo” di sigaretta è un fattore di rischio indiscusso non solo per la comparsa di tumori, ma anche di altre gravissime patologie. Delle 90.000 persone che, nel nostro Paese, perdono la vita ogni anno a causa del fumo, un terzo muoiono per malattie bronchiali e polmonari, un terzo per malattie cardiache ed un terzo per neoplasie. L’ O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce il tabagismo una malattia del comportamento che costringe il fumatore a fumare anche nelle situazioni nelle quali egli ne viene sicuramente danneggiato (ad esempio, quando è ammalato) o nelle quali è vietato. Il fumo “passivo”, cioè respirato da soggetti non fumatori, è altrettanto tossico e nocivo di quello “attivo”, tanto da essere stato classificato, nel 2002, come cancerogeno di Gruppo I (al pari, ad esempio, dell’amianto, che, come noto, è stato eliminato da ogni ambiente di lavoro) dalla I.A.R.C. (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, organismo interno all’ O.M.S.), che già aveva così classificato, nel 1985, il fumo “attivo”. L’appartenenza al gruppo I dei cancerogeni significa, in concreto, una sufficiente evidenza delle conoscenze per concludere che esiste una relazione causa-effetto tra l’esposizione al fumo di sigaretta e la comparsa di tumori nell’essere umano. Ciò in quanto il fumo di sigaretta prevede, negli spazi confinati, una elevata concentrazione di particelle respirabili (particolato fine o polveri sottili) e sostanze cancerogene note quali benzene, 1,3-butadiene, benzo[a]pirene, 4-(methylnitrosamina)-1-(3-pyridyl)-1-butanone e altri. Il fumo di tabacco inalato direttamente dal fumatore ha una composizione chimica del tutto simile a quella del fumo “passivo”: la differenza sta però nel fatto che nel fumo “passivo” si trovano, spesso, più sostanze cancerogene (ed altre sostanze tossiche) che nel fumo che il fumatore aspira personalmente e ciò perché il fumo che si diffonde dalla sigaretta accesa ha una temperatura più bassa e presenta un diverso livello di acidità. Nella tabella seguente si indicano i principali effetti del fumo sull’uomo:
In ambito lavorativo, il fumo di tabacco (sia questo “attivo” che “passivo”) ha, inoltre, l’ulteriore caratteristica negativa di interagire con le altre sostanze tossiche cui il lavoratore è esposto nell’ambiente di lavoro: riducendo l’efficienza dei meccanismi di difesa delle vie respiratorie rispetto a sostanze chimiche inquinanti, ne può aggravare gli effetti, oppure, reagendo con queste, ne va a formarne di più tossiche. Per citare un esempio tratto dalla letteratura scientifica di settore, è dimostrato l’effetto moltiplicativo del rischio di tumore al polmone nei lavoratori esposti ad amianto fumatori rispetto ai lavoratori non fumatori. La produzione normativa di settore è abbondante e, risalendo, il suo avvio, a circa trent’anni fa, ha portato ad una complessa “stratificazione” di precetti e procedure. Per fare chiarezza e, soprattutto, per poter individuare, nel prosieguo del presente approfondimento, quali siano gli obblighi per Enti ed Aziende in merito alla tutela dei propri lavoratori dai rischi da fumo, si analizzano di seguito tutte le norme più rilevanti.
La “storica” e ormai famosa Legge non menziona i luoghi di lavoro tra gli ambienti in cui è proibito fumare, perseguendo scopi di tutela della salute pubblica con un generico ed assoluto divieto di fumo nei locali quali corsie d'ospedale, aule delle scuole, metropolitane, sale d'attesa, locali chiusi adibiti a pubblica riunione, ecc. Si riporta in tabella l’articolo1 della Legge, indicante tali ambienti:
La norma, emanata a seguito di due pronunce dei Giudici Amministrativi che avevano interpretato estensivamente le norme della Legge 584/75, ha come suoi destinatari tutte le Amministrazioni Pubbliche e prevede che esse attuino il divieto di fumo espresso dalla Legge 584/75, esercitando poteri amministrativi regolamentari e disciplinari nonché poteri di indirizzo, vigilanza e controllo sulle aziende ed istituzioni da esse dipendenti e sulle aziende private in concessione o in appalto. La Direttiva fornisce, inoltre, i criteri interpretativi per l'individuazione dei locali in cui si applica il divieto, allargando lo spettro di azione della “vecchia” Legge 584/75: ð per locale aperto al pubblico si intende quello in cui la generalità degli amministrati e degli utenti accede senza formalità e senza bisogno di particolari permessi in orari prestabiliti; ð tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla Pubblica Amministrazione e dalle Aziende Pubbliche per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, sempre che i locali siano aperti al pubblico, sono soggetti al divieto di fumo; ð tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, da privati esercenti servizi pubblici, sempre che i locali siano aperti al pubblico, sono sottoposti al divieto di fumo; ð i luoghi indicati dall'articolo 1 della Legge 584/75, anche se non si tratta di "locali aperti al pubblico", rientrano tra quelli in cui vige il divieto di fumo. La Direttiva precisa, inoltre, che le Amministrazioni e gli Enti possono comunque estendere il divieto a luoghi diversi da quelli previsti dalla Legge. Resta l'obbligo di apporre cartelli con indicazione del divieto di fumo nei locali in cui è applicato. Nell'elenco dei locali in cui si applica il divieto di fumo, oltre ai "classici" ospedali, scuole, banche, ecc., si trovano anche uffici postali, uffici degli enti territoriali, uffici delle società erogatrici di servizi pubblici (corrente elettrica, acqua, compagnie telefoniche, ecc.).
Con tale Circolare il Ministro della Sanità, interpretando la normativa vigente, stila un elenco non esaustivo delle tipologie di locali in cui deve vigere il divieto di fumare e indica compiti e responsabilità dei Dirigenti in merito al controllo del rispetto del divieto stesso. Articolo 52, comma 20 Legge Finanziaria 2002L'articolo 7 (Apparato sanzionatorio per i trasgressori) della Legge 584/75 è sostituito dal seguente, presentato nella Legge Finanziaria del 2002 (articolo 52, comma 20):
La norma ha colmato, individuandolo in maniera esplicita, la lacuna della Legge 584/75 in merito ai luoghi di lavoro e prevede che, entro un anno dalla pubblicazione del regolamento di attuazione, tutti i luoghi di lavoro siano adeguati alla nuova normativa. In sintesi, impone che dal 10 gennaio 2005 sarà espressamente vietato fumare in tutti i locali chiusi, fatta eccezione per quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e per quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati.
Rappresenta il regolamento di attuazione dell’articolo 51 della Legge 3/03. Si riporta nella tabella seguente il testo dell’Allegato 1 alla norma, indicante i requisiti tecnici (molto, molto “pesanti” e costosi) di cui devono essere dotati i locali riservati ai fumatori:
Costituisce un chiarimento (se ce ne fosse stato bisogno) in merito alla concreta applicazione dell’articolo 51 della Legge 3/03. E’ comunque importante e di aiuto, perché il Ministero della Salute sgombera il campo da alcuni possibili equivoci. In particolare, tra le altre questioni: ð si conferma il divieto di fumare non solo nei luoghi di lavoro pubblici, ma anche in quelli privati che siano aperti al pubblico o ad utenti, comprendendo tra questi i lavoratori dipendenti (in quanto “utenti”, appunto, dei locali in cui prestano la propria attività lavorativa); ð si sottolinea che la realizzazione di aree riservate ai fumatori non rappresenta un obbligo ma un’opzione che un’Azienda o un Ente può o meno attuare; nel caso in cui si intendesse adibire uno spazio ai fumatori, questo deve essere conforme a quanto stabilito dall’Allegato 1 del Decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2003. Durante la seduta del 16 dicembre 2004 la Conferenza Stato-Regioni dà attuazione al comma 7 dell’articolo 51 della Legge 3/03, che demanda proprio a questo Organismo Collegiale la ridefinizione delle procedure per l'accertamento delle infrazioni, la relativa modulistica per il rilievo delle sanzioni nonché l'individuazione dei soggetti legittimati ad elevare i relativi processi verbali e di quelli competenti a ricevere il rapporto sulle infrazioni accertate. L’Accordo contiene altresì una preziosa raccomandazione per i Datori di lavoro di Aziende ed Enti circa la necessità di informare i lavoratori sui rischi per la propria sicurezza e salute derivanti dal fumo, sia esso “attivo” che “passivo”, sulle misure di prevenzione e protezione adottate nei luoghi di lavoro, sulle sanzioni previste dalle vigenti normative per i trasgressori del divieto di fumare e sulle modalità efficaci per smettere di fumare, avvalendosi anche di Esperti in materia. Al di là del complesso panorama normativo venutosi a creare nel tempo nel nostro Paese, più sopra sintetizzato schematicamente, vediamo ora quale è la concreta applicazione delle norme nei confronti di Datori di lavoro e Dirigenti inadempienti da parte della Magistratura. Si citano le Sentenze più significative: Una sentenza “storica” è senz’altro quella della Corte Costituzionale n. 399 del 1996, con cui la Consulta ha sostenuto che l’obbligo del Datore di lavoro di tutelare i lavoratori dal fumo “passivo” nei luoghi di lavoro sia già desumibile dalle norme ordinarie. Ciò significa che, ben prima dell’avvento della normativa “antifumo” più recente e restrittiva, il Datore di lavoro e i suoi collaboratori più stretti, ovvero Dirigenti e Preposti, avevano comunque l’obbligo di proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che potesse minarla, compreso il fumo “passivo” di sigaretta, anche in quei luoghi in cui la normativa “antifumo”, allo stato, non prevedeva particolari divieti, ma in virtù di altre norme in essere, quali:
Una sentenza fondamentale, che ribadisce l’obbligo per il Datore di lavoro, nella sua attività di prevenzione e protezione, di valutare tutti i rischi per la salute dei lavoratori (precetto peraltro già recepito dall’articolo 4 del D.Lgs. 626/94 così come modificato dalla Legge 39/02) e, quindi, anche quelli derivanti dal fumo “passivo” di tabacco. Anche numerose altre recenti sentenze derivanti da azioni giudiziarie intentate per cause di lavoro innanzi ai Tribunali di tutt’Italia hanno riconosciuto, confermandola, la dannosità del fumo “passivo” di sigaretta e le responsabilità del Datore di lavoro. L’orientamento giurisprudenziale sottolinea in maniera univoca la necessità che la valutazione dei rischi (e le conseguenti misure di prevenzione e protezione da adottare, compresa la sorveglianza sanitaria) riguardi tutti i rischi possibili presenti sul luogo di lavoro e non solo quelli derivanti dal processo produttivo in senso stretto: compresi, quindi, i rischi legati al fumo di sigaretta. Oltretutto, essendo il fumo “passivo” di tabacco, come più sopra esposto, un cancerogeno ormai universalmente riconosciuto a livello scientifico, si impone per il Datore di lavoro una valutazione non generica, ma attenta e conforme anche alla normativa specifica in materia di protezione da agenti cancerogeni e mutageni (Titolo VII del D.Lgs. 626/94) ed in materia di protezione da agenti chimici (Titolo VII-bis del D.Lgs. 626/94, introdotto dal D.Lgs. 25/02). Come si è appena visto, la normativa prevede precisi obblighi e conseguenti sanzioni per i Datori di lavoro ed i Dirigenti di Aziende ed Enti che non rispettino le prescrizioni in materia di tutela dei lavoratori dal rischio fumo, sia “attivo” che “passivo”. Si è altresì appurato che la Magistratura già da anni ha riconosciuto e sancito, con numerose sentenze, la responsabilità penale di Datori di lavoro e Dirigenti (e, talvolta, anche di semplici Preposti) nel garantire a tutti i lavoratori un ambiente privo di sostanze dannose, tra cui viene annoverato a pieno titolo, naturalmente, anche il fumo di tabacco. Si è infine assodato come, per i luoghi di lavoro, alla normativa “di settore” relativa al divieto di fumo o, comunque, di tutela dei non fumatori, si affianchi quella specifica inerente la tutela di sicurezza, igiene e salute dei lavoratori, in particolare il D.Lgs. 626/94 e le altre norme ad esso collegate. Cosa deve quindi fare un’Azienda o un Ente per tutelare la salute dei non fumatori e non cadere nei rigori della Legge? Ovvero, quali sono gli obblighi e le responsabilità del Datore di lavoro? Questo capitolo conclusivo rappresenta la sintesi applicativa di quanto finora esposto. Preliminarmente, viene in aiuto la stessa Circolare del Ministero della Salute del 17 dicembre 2004 più sopra citata, che in un passaggio indica come « ….. E’ infatti interesse del Datore di lavoro mettere in atto e far rispettare il divieto, anche per tutelarsi da eventuali rivalse da parte di tutti coloro che potrebbero instaurare azioni risarcitorie per danni alla salute causati dal fumo ….. ». Pertanto, vediamo, in breve, quali sono gli obblighi in capo al Datore di lavoro: ð Attuare e far rispettare il divieto di fumare in qualsiasi locale dell’Azienda senza eccezione (compresi i veicoli aziendali) o, in alternativa (per libera scelta dell’Azienda) attuare e far rispettare il divieto di fumare in qualsiasi locale dell’Azienda fatta eccezione per quelli riservati ai fumatori, che devono essere conformi al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2003 (tamponamenti e chiusure, superficie dei locali e n° ricambi d’aria, ventilazione forzata, cartellonistica). ð In tale fase preliminare, occorre individuare tutte quelle possibili aree nell’ambito dell’Azienda che, o non essendo chiuse (balconi, terrazzi, patii, ecc.) o non essendo aperte a pubblico o utenti così come definito dalla Circolare del Ministero della Salute del 17 dicembre 2004 (uffici o locali occupati da un solo lavoratore fumatore) potrebbero essere reputate “automaticamente” dai dipendenti fumatori come non soggette al divieto di fumare. Queste rappresentano situazioni da evitare assolutamente in quanto:
ð Organizzare seriamente e fattivamente i controlli circa il rispetto di divieti e prescrizioni, dando operatività in senso repressivo al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995, alla Legge 3/2003 ed alla cartellonistica installata, cioè identificando e nominando i Soggetti responsabili di fare rispettare il divieto mediante comunicazione alle Autorità competenti e/o attraverso provvedimenti disciplinari decisi dall’Azienda (in tal caso, in ottemperanza al D.Lgs. 626/94). ð Provvedere, con il coinvolgimento del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Medico Competente e del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ad effettuare la “valutazione dei rischi”, ai sensi dell’articolo 4, comma 1 e secondo i Titoli VII (Protezione da agenti cancerogeni e mutageni) e VII-bis (Protezione da agenti chimici) del D.Lgs. 626/94, sia per gli effetti diretti che per quelli indiretti e di interazione del fumo (sia “attivo” che “passivo”) con altre sostanze nocive presenti/stoccate/manipolate/prodotte in Azienda. ð Provvedere alla informazione di lavoratori ed utenti sia in merito ai divieti ed ai comportamenti da attuare (anche mediante specifica cartellonistica), sia a riguardo dei rischi derivanti dall’esposizione al fumo di sigaretta, “attivo” e “passivo”, comprese tutte le eventuali ulteriori implicanze o interazioni del fumo rispetto alle lavorazioni svolte e/o alle sostanze lavorate (ad esempio utilizzo di sostanze chimiche o cancerogene, misure igieniche attuate, ecc.) che possono prevedere il divieto di fumare anche all’aperto per tutelare la salute non solo dei non fumatori, ma anche del fumatore. ð Valutare l’opportunità o meno di procedere alla Sorveglianza Sanitaria. A questi obblighi si potrebbero affiancare altre scelte aziendali volontarie (come il perseguimento di una politica di disassuefazione al fumo) dettate da altre implicanze meno “nobili”, in quanto eminentemente economiche, legate alla constatazione che il fumo di sigaretta non è solo dannoso alla salute dei lavoratori, ma è anche costoso per il Datore di lavoro e può essere deleterio all’immagine dell’Azienda. Infatti, esistono in letteratura fior di studi scientifici che quantificano i costi per le Aziende provocati dal fumo di sigaretta (uno studio effettuato nel 1991 negli Stati Uniti ha quantificato in 1.300 dollari il costo aggiuntivo aziendale per ogni dipendente fumatore), le cui voci di spesa, per motivi di brevità, vengono qui solo citate: ð giorni aggiuntivi di assenza per malattia; ð giorni aggiuntivi annui di assenza per visite mediche; ð ridotta produttività (le attività correlate al fumo occupano circa l’ 8% del tempo lavorativo); ð maggior assenteismo; ð maggior tournover del personale per morte prematura o invalidità; ð incendi e scoppi; maggiore e più rapido deterioramento attrezzature di lavoro, manutenzione più ricorrente. Milano, 30 dicembre 2004 Luca Lucchini |
__________________________________ Ultimo aggiornamento: 15 aprile 2018 Inviare a infopl@safety.it un
messaggio di posta elettronica contenente domande o commenti su questo sito Web.
|